Il Villaggio Olimpico di Milano, un inno al cemento e alla bruttezza architettonica

12 febbraio 2025 | 08:39
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Il Villaggio Olimpico di Milano, un inno al cemento e alla bruttezza architettonica

Un paesaggio post-industriale degno della periferia di una città sovietica degli anni ’70,

MILANO – Milano corre verso le Olimpiadi Invernali del 2026, ma inciampa sulla bellezza architettonica. Lunedì 10 febbraio, il Fondo immobiliare Coima Olympic Village e il Fondo di investimento immobiliare Porta Romana hanno annunciato il completamento delle sei palazzine che compongono il Villaggio Olimpico. Sei blocchi di cemento che sembrano usciti direttamente dal brutalismo sovietico, un pugno in un occhio nel cuore di un’area che avrebbe meritato ben altra visione estetica.

L’annuncio è stato dato durante il sopralluogo istituzionale del vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini, accompagnato dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, dall’assessore alla Rigenerazione Urbana Giancarlo Tancredi e dal prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Una parata di autorità per celebrare quello che doveva essere un progetto di riqualificazione urbana ma che, a conti fatti, si presenta come un agglomerato di edifici anonimi, privi di personalità e di qualsiasi rispetto per il contesto cittadino.

villaggio olimpico

Il Villaggio olimpico di Porta Romana, destinato a ospitare gli atleti durante i Giochi prima di essere convertito nel più grande studentato convenzionato d’Italia con 1.700 posti letto, si inserisce in un più ampio progetto di edilizia convenzionata. Un’operazione ambiziosa sulla carta, che avrebbe potuto dare un nuovo volto all’area dell’ex scalo ferroviario, ma che si è invece concretizzata in un’ennesima distesa di palazzoni squadrati, freddi e spersonalizzanti. L’idea di fondo – riqualificare e rendere la zona più vivibile – si scontra con la realtà di un’architettura che sa più di dormitorio collettivo che di residenza moderna.

Il progetto, curato dallo Studio di Architettura Skidmore, Owings & Merrill – Som, avrebbe dovuto rappresentare un modello di sostenibilità e innovazione, ma il risultato finale è l’ennesima celebrazione della funzionalità a discapito dell’estetica. Zero ispirazione, zero integrazione con il tessuto urbano milanese, zero rispetto per la storia della città. Se l’obiettivo era creare un paesaggio post-industriale degno della periferia di una città sovietica degli anni ’70, possiamo dire che è stato pienamente centrato.

Gli edifici, che vantano efficienza energetica e l’assenza di combustibili fossili, saranno riconvertiti in alloggi per studenti dal 2026. Un futuro che, almeno dal punto di vista estetico, non promette nulla di buono per chi si troverà a vivere tra queste mura prive di anima. Nel frattempo, Milano si prepara ad accogliere il mondo con una delle sue peggiori espressioni architettoniche degli ultimi anni.