
Ora il problema non è solo il boccone amaro da mandar giù, ma anche la classifica UEFA
MILANO – Per inciso, il calcio “italiano” non esiste ormai più. Perso di identità e schiacciato dai tanti stranieri presenti ormai ovunque che rappresentano ormai il 70-80% di quelli che vanno in campo, per alcune formazioni di serie A anche il 90%.
Le conseguenze sono ormai avvertibili a tutti i piani di questo sport che solo qualche decennio fa era il fiore all’occhiello di questa nazione ed oggi è il tallone di Achille di un paese che ha completamente perso ogni legame con il passato.
Il martedì di Champions si era tinto di nero, un colore funesto per le italiane, che nel giro di poche ore hanno visto Atalanta e Milan affondare sotto i colpi di Bruges e Feyenoord. Ma il mercoledì non è stato da meno: la malasorte ha continuato a imperversare sulle nostre squadre, e la Juventus ha completato il trittico delle disfatte con una mesta eliminazione per mano del PSV Eindhoven.
Ora il problema non è solo il boccone amaro da mandar giù, ma anche la classifica UEFA, quel maledetto ranking che ogni giorno aggiorniamo con più dolore e meno speranze. L’Italia resta ferma a 17.812 punti, mentre la Spagna, forte del 3-1 del Real Madrid sul Manchester City, si invola a 18.535, consolidando il secondo posto dietro l’Inghilterra (20.892). Il quinto posto per la prossima Champions, già un miraggio, ora sembra roba da Ulisse in balìa di Poseidone.
Chi resta in lizza ha ora un peso enorme sulle spalle. Inter, Lazio (già agli ottavi di Europa League), Roma (costretta a vincere all’Olimpico contro il Porto) e Fiorentina (tra le migliori 16 in Conference) non possono sbagliare. Ma la concorrenza spagnola è feroce: in Champions avanzano Real Madrid, Atletico e Barcellona; in Europa League l’Athletic Bilbao e la Real Sociedad si fanno sotto; in Conference il Betis tiene alto il vessillo iberico.
La strada per la gloria europea è dunque tortuosa, e passa per la Spagna. Rimboccarsi le maniche è un obbligo, perché qui non si tratta più solo di onore, ma di non finire relegati in una dimensione sempre più periferica del calcio che conta.