Il “Milite Ignoto” ed i tanti sportivi caduti durante la Grande Guerra

Nel giorno dell’Unità di Italia e della Giornata delle Forze Armate, con Carmelo Calabrò ripercorriamo la storia del Milite Ignoto e ricordiamo i tanti campioni di ogni sport caduti nella Prima Guerra Mondiale
LEGNANO – Nel Giorno dell’Unità di Italia e della Giornata delle Forze Armate, con CarmeloCalabrò ripercorriamo la storia del MiliteIgnoto e ricordiamo i tanti campioni di ogni sport caduti nella Prima Guerra Mondiale.
Dopo la conclusione della Grande Guerra 1914-1918, il generale d’artiglieria in congedo, GiulioDouhet, quale fondatore di un’associazione “Unione Nazionale di Ufficiali e Soldati”, suggerì, con profondo e vibrante patriottismo, l’idea di onorare i caduti italiani, le cui salme non erano mai state identificate, con la creazione di un monumento nella città di Roma, sul quale tutte le madri che non potevano piangere il dolore intimo sulla tomba del proprio figlio disperso avrebbero potuto onorarlo in quella.
E’ bene ricordare, che allo scoppio della Grande Guerra, partirono al fronte circa cinque milioni di soldati italiani. Migliaia e migliaia di loro, in agonia e morte, non sarebbero più tornati a casa; mentre un numero spaventoso di superstiti, alla fine del conflitto, avrebbero portato inevitabilmente nelle loro membra e nello spirito, segni devastanti di mutilazioni, ferite e sofferenze (alcuni erano perfino impazziti), di quella tragica guerra.
Una guerra, con vicende belliche sanguinose, con trincee ammucchiate di cadaveri, soldati avvelenati dai gas, cortei di feriti, controffensive e combattimenti furiosi, per conquistare anche un solo pezzo di terreno. Episodi tragici, su tutti i fronti, che seguirono fino all’epilogo di Vittorio Veneto, e dove cui il numero dei dispersi, dei soldati delle truppe italiane, caduti per il compimento del proprio dovere, e non identificati, fu enorme.
Anche lo sport italiano schierò in massa i suoi uomini contro gli Austriaci. Moltissimi giovani atleti, per amore per la Patria, partirono in prima linea per il fronte, e molti persero la vita in quei giorni di sangue e di gloria.

Si desidera, qui di seguito, ricordare, alcuni nomi di atleti, ormai segnati dal tempo, in sbiadite fotografie: CarloOriani, già ciclista pluripremiato, che mise da parte le corse per vestire la divisa da bersagliere; NedoNadi, grande olimpionico della scherma italiana; FernandoAltimani, milanese, marciatore; GiuseppeSinigaglia, atleta comasco, uno dei più forti vogatori italiani, morto in battaglia il 10 agosto 1916 (a cui la Città di Como dedicò poi lo stadio cittadino); TeodoroMariani, atleta comasco, capovogatore canottieri, caduto in battaglia il 2 agosto1916 a Monte Zebio. Oltre 500 gli sportivi caduti e dispersi in quei giorni terribili sul campo di battaglia.
Si dice che il conto salatissimo, però, lo pagarono le squadre di calcio. Tra i tanti caduti, di allora, in queste note storiche ricordiamo: il capitano dei nero-azzurri squadra Internazionale, VirgilioFossati, un ragazzone alto 1,80, aveva 25 anni, ufficiale della Brigata Cuneo, che morì sul Carso mentre tentava di salvare dei commilitoni feriti in un aspro combattimento. Il suo corpo non fu mai più ritrovato, fu disperso.

Un ricordo commosso, anche tra il Milan. Il primo purtroppo a morire fu ErminioBrevedon, che lasciato i panni del calciatore in maglia rossonera, con il ruolo di attaccante, e dopo aver indossato quelli di sottotenente del Regio Esercito Italiano, della Brigata Marche 5° fanteria, cadde il 20.7.1915 sul Monte Piana, durante gli assalti. Non aveva ancora compiuto 22 anni. GiovanniZini, portiere della Cremonese, bersagliere, morì al fronte il 2 agosto 1915. Dopo la sua morte il suo nome fu dato allo stadio della città. SilvioAppiani, attaccante e capitano della squadra di calcio del Padova, morì il 20 ottobre del 1915, giovanissimo, a soli 21 anni (anche in questo caso Padova gli dedicò lo stadio cittadino). AlbertoPicco, calciatore dello Spezia, e poi ufficiale degli Alpini, caduto sul Monte Nero, ed infine Benigno Dalmazzo, punta centrale e capitano della Juventus, caduto in combattimento ad Asiago, in data 1.7.1916. Anche lui ebbe l’onore postumo di vedersi dedicato lo stadio cittadino.

Non è superfluo ricordare, che non furono di certo risparmiate dalla barbaria bellica, le squadre di calcio del Centro e nonché del Sud d’Italia, che come tante altre, offrirono, in un periodo così tragico di orrore, alla Patria, il massimo sacrificio e tutti gli eroismi, per i più nobili ideali.
E’ una storia importante, quella degli atleti-soldato italiani, che non poteva essere trascurata. Un’onda di popolo, che scrisse, con sacrificio, con l’elmetto, il fucile e le fasce mollettiere intorno alle gambe, in trincea, in baracche e sui grovigli dei reticolati nei campi di battaglia, pagine della storia d’Italia. Ma i limiti concessi a questo articolo, mi sollecitano a concludere, riservandomi di approfondire quest’argomento in un prossimo mio intervento.
Ma ritorniamo alla narrazione della storia del Milite Ignoto. La proposta avanzata dal generale GiulioDouhet, di glorificare un caduto in guerra, il corpo di un militare senza identità, “Milite Ignoto” in un monumento nazionale, nella capitale a Roma – sulla scorta peraltro di analoghe iniziative già attuate in Francia, Belgio, Inghilterra, Stati Uniti e in altri Paesi coinvolti nella Grande Guerra – riscosse ampia condivisione tra le associazioni combattentistiche nazionali e unanime fervore nel mondo politico italiano.
Così, il 20 agosto 1921, l’allora, Ministro della Guerra, Onorevole LuigiGasparotto, decorato con tre medaglie al valore militare, eletto nel 1913 nel collegio elettorale di Milano, emanò le prime disposizioni per le “Solenni onoranze alla salma senza nome di un soldato caduto in combattimento al fronte italiano nella guerra 1915-1918”, costituendo un’apposita Commissione, con compito di esplorare, lungo circa 700 chilometri dell’ex fronte italiano, e di riesumare e recuperare, in undici luoghi diversi e negli sparsi, in provvisori, cimiteri militari di guerra, delle zone più avanzate nelle nostre trincee, nei punti più remoti, undici salme di soldati (includendo anche i reparti da sbarco della Regia Marina, marinai che combatterono a terra come fanti, lungo l’argine destro del Piave, affiancati alla Brigata Granatieri di Sardegna) non identificati, totalmente privi d’identità, uno per ogni zona, e in località dove più aspra era stata la battaglia: San Michele, Alto Isonzo, Cadore, Caposile, Asiago, Montello, Pasubio, Tonale, Grappa, Gorizia, Rovereto.
In ognuna di queste zone, che rappresentavano i diversi fronti, sulle linee austriache, su cui i soldati del Regio Esercito avevano combattuto, in avanzate, scontri e forti bombardamenti, il conflitto mondiale, con feriti, morti, e prigionieri, conducendo una vita durissima, tanto per le condizioni ambientali quanto per la minaccia del nemico (molte volte i morti rimanevano insepolti per settimane nelle trincee e nella terra di nessuno a causa dell’infuriare dei combattimenti), doveva riesumarsi il corpo di un caduto, armi in pugno (le salme, in queste fosse comuni, non dovevano mostrare alcun segno di riconoscimento se non l’essere riconosciuti come appartenenti ai soldati italiani) che doveva essere collocata in una bara di legno, di forma e dimensioni uguali alle altre e fatta portare nella Basilica Patriarcale di Aquileia, in provincia di Udine.
Secondo alcune note storiche, le attività di ricerca dei resti dei militari, in questi cimiteri di fortuna, a volte allestiti, nelle immediate adiacenze delle trincee italiane, durarono circa più un mese, e fu un compito straziante. Un primo concentramento di sei salme esumate dei militari ignoti, avvenne a Udine; il 18 ottobre a Gorizia, e poi il 27 ottobre, tutte e undici le bare dei caduti, senza nome, furono schierate nella Basilica di Aquileia, dove poi si è svolta la solenne cerimonia della scelta del “Milite Ignoto”.

Le cronache ci riferiscono che a guidare la sorte, per questo triste compito, fu designata Maria Maddalena Bergamas, di Gradisca d’Isonzo, addolorata per la scomparsa del figlio Antonio, che aveva disertato dall’esercito austriaco, per arruolarsi volontario, quale Sottotenente del 137° Reggimento Fanteria, della Brigata Barletta, cadendo il 18.6.1916 in combattimento, e dichiarato disperso, senza che il suo corpo fosse mai identificato. Una madre non ha limiti nel suo amore verso i figli colpiti da una sventura.
La popolana Maria Maddalena Bergamas rappresentava per l’Italia tutte le madri e donne, di tutti i ceti sociali, che con disperazione, innumerevoli lacrime e con un dolore incommensurabile, avevano avuto disperso, un figlio, un marito, un padre, un fidanzato, in guerra, e non potevano piangere sulla loro tomba.
Maria Maddalena Bergamas ebbe l’arduo compito di scegliere una bara (tra le undici bare ignote e senza nome) in cui era custodita la salma, di quello, “soldato d’identità sconosciute” che, poi, viaggerà sino a Roma, con una fanfara di gloria, verso l’Altare della Patria e che sarebbe dovuto diventare il “Milite Ignoto”, simbolo di tutti i Caduti.
Cronisti dell’epoca, ci riferiscono della toccante cerimonia, e che dopo la benedizione, con l’acqua del Timavo, degli undici caduti, da parte del Vescovo di Trieste e Capo d’Istria, alla presenza delle più alte autorità militari, politiche e religiose, reduci, con un nastrino sul petto e sul cuore, combattenti, e decorati, militari di tutte le forze armate, tra la folla piangente, e mamme “addolorate” (per la perdita dei figli giovani che non fecero ritorno) con la corona del rosario in mano, Maria Maddalena Bergamas venne posta di fronte alle undici bare, allineate, dei soldati ignoti, nella navata centrale della cattedrale di Aquileia, sorretta da quattro decorati di medaglia d’oro che l’accompagnavano nella scelta della bara. La donna, con il cuore gonfio di attesa, dopo essere passata davanti alla prima, curva sotto il perso del lutto, con la massima espressione della “Mater Dolores” improvvisamente sentendosi quasi mancare, non riuscì a proseguire la ricognizione e affranta dal dolore, si accasciò in ginocchio davanti alla seconda bara di destra, incapace di andare oltre, gridando con singhiozzi di patimento e strazio di dolore, il nome del figlio disperso e su quella bara alzato il braccio gettò con gli occhi sbarrati, il segno della scelta, il suo velo nero da lutto e non il bianco fiore che teneva stretto in mano, secondo il rituale che le era stato prescritto.
La cassa con il “Milite Ignoto” prescelta, fu posizionata all’interno in un contenitore di zinco, racchiusa in una bara speciale di quercia fatta allestire dal Ministero della Guerra ed inviata per essere tumulata a Roma al “Vittoriano”, il monumento, imponente di marmo bianco, progettato nel 1884 dall’architetto Giuseppe Sacconi (che per la sua costruzione, scelse anche il marmo bianco di Botticino, estratto dalle cave bresciane) e costruito per glorificare, in passato un fatto storico importante, l’Unità d’Italia, e onorare così il suo principale artefice, Vittorio Emanuele II “il gran Re fondatore dell’Unità Nazionale”.
All’indomani dell’evento, mentre le altre rimanenti salme dei soldati ignoti furono vegliate e tumulate, in forma solenne, nel cimitero retrostante la Basilica stessa di Aquileia, si preparava, l’ora fatale, per l’ultimo viaggio del “Milite Ignoto”.
Per il trasferimento a Roma, al Vittoriale, del feretro prescelto, si dispose l’allestimento di un treno, carico di fiori, con in testa un carro speciale sul quale fu collocato un affusto di cannone (oggi esposto al Museo Risorgimentale di Roma) e su questo, la bara del Milite Ignoto, con sopra un elmetto, un fucile, la bandiera dei Savoia e le medaglie d’oro delle tre città friulane.

Lo speciale convoglio ferroviario, appositamente progettato, partì per la città “Eterna” e impiegò sferragliando, chilometri e chilometri per ben quattro giorni, guidato da ferrovieri decorati al valore militare, e a velocità ridotta e attraversò sulla linea Cervignano-Aquileia, Udine, Treviso, Venezia, Bologna e Firenze, effettuando 120 soste, (ma senza andare al Sud) fermandosi in stazione in stazione, dando così la possibilità a migliaia di uomini e donne, lungo le massicciate della ferrovia, inginocchiati, a tributare, al passaggio del “treno glorioso”. Una folla, in reverente silenzio, che salutava e piangeva quel feretro come se passasse davanti il loro figlio, il marito o fratello, con bandiere abbassate, onori alla salma, del soldato sconosciuto, figlio d’Italia.
E mentre Aquileia rendeva il suo omaggio, Roma, l’Urbe sotto il sole d’Italia, si accingeva con grande commozione a glorificare quel “Soldato Ignoto” che avrebbe rappresentato (e rappresenta tutt’ora) un cordoglio e omaggio verso tutti i caduti e dispersi di guerra, senza distinzione, tutti i ritorni mancati di soldati, alla propria terra natia, dai piccoli paesi della pianura Padania fino al Sud negli angoli più remoti, d’ Italia, ai quali era preclusa, la possibilità di una preghiera e di un fiore sulla sepoltura.
Il 2 novembre 1921, nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli di piazza Esedra (oggi piazza della Repubblica) la salma del Milite Ignoto, questa anonima vittima, uno dei tanti caduti al fronte per la patri, simbolo di tutti i caduti di guerra, ricevette l’estremo omaggio nella giornata dedicata ai Defunti e fece stringere il cuore a milioni di italiani.
Il 4 novembre 1921, la sacra Salma, poi venne trasportata a spalle al Vittoriano, il più importante tempio della Nazione, e riposta, con onorevole sepoltura, definitivamente nel sacello dell’Altare della Patria, a piazza Venezia, ai piedi della marmorea statua della Dea Roma, nel suo luogo speciale di sacralità e di eterno riposo, con esequie solenni e con l’abbraccio di tutta la Nazione. Una pagina della storia italiana che non potrà mai morire. Un’imponente cerimonia, suggestiva e commossa, che la Nazione avesse mai visto, alla presenza del re, Vittorio Emanuele III con tutte le alte cariche del Governo, autorità religiose, amministrative, e un’ imponente presenza di reparti militari in armi, reggimenti schierati lungo le strade. Una folla impressionante gremiva il luogo, con reduci e mutilati, decorati, con vessilli e tricolori e migliaia di famiglie, vedove e mamme dei caduti, a portare il saluto sublime, con ghirlande di rose, al feretro del “Soldato Sconosciuto” accompagnati da un concerto di campane e dalle note della “Leggenda del Piave”.
Maria Maddalena Bergamas morì il 22.12.1953 a Trieste. E volle essere sepolta accanto agli altri 10 figli, “Militi Ignoti” che invece non furono scelti. Le sue spoglie, il 4 novembre 1954 furono tumulate a fianco dei Militi Ignoti nel Cimitero degli eroi di Aquileia.
Si deve al poeta-soldato, Gabriele D’Annunzio, l’idea di dare il nome di “Milite Ignoto” alla salma del soldato senza nome, che avrebbe nel tempo ricordato il sacrificio di tutti i soldati che purtroppo non ritornarono più, alla loro casa.
