Il Maestro Massimiliano Andreani spiega cosa significa fare sport inclusivo

Il lavoro che svolge un’associazione sportiva per accogliere ragazzi con disabilità
LEGNANO – Grazie all’esperienza di Carlo e Maria Formentin Rossoni, siamo riusciti a capire che ci sono molte associazioni sportive del nostro territorio che hanno la possibilità di accogliere ragazzi con disabilità e portare avanti il concetto di inclusività.
Fra i vari sport che pratica attualmente il loro figlio, Stefano, c’è anche il karate, che svolge al Shorei Shobukan di Legnano. Abbiamo chiesto al Maestro Massimiliano Andreani di illustrarci cosa c’è dietro le quinte di un’associazione inclusiva.
Qual è la principale difficoltà che si incontra allenando un ragazzo con disabilità?
“La difficoltà maggiore è relativa alla comunicazione. I ragazzi autistici riescono a fare quello che fa un ragazzo normale, siamo noi che dobbiamo imparare a comunicare con lui. Senza dubbio, si tratta di una cosa non facile perché ci troviamo in un ambiente dove ci sono più persone da seguire con pochi istruttori a disposizione. Paradossalmente, è molto più semplice allenare ragazzi down o con menomazioni fisiche perché, in quel caso, si può fare in modo di lavorare sulla ridotta capacità motoria o intellettiva. Organizzare un corso a parte per chi ha disabilità è ottimo, ma non è un modo per fare sport inclusivo; la cosa migliore è fargli fare quello che fanno tutti gli altri, rispettando i loro tempi e le loro modalità. Non diamo mai false speranze perché dipende sempre dal grado di disabilità e dalla relazione che riusciamo a instaurare, e questo vale anche per i normodotati. La relazione è la chiave per la buona riuscita del percorso”.

Come si fa a diventare più inclusivi?
“Purtroppo ci sono molti casi diversi ed è difficile specializzarsi in tutto. Per quanto ci riguarda, sono due anni che facciamo corsi di formazione, come ad esempio quello ‘PGS Sport e Inclusione’, e ad oggi abbiamo due o tre tecnici che sono specializzati su questo tema, anche se la formazione è continua e va provata sul campo ogni giorno. Poi è fondamentale avere anche strutture adeguate, non solo quelle comunali. Noi stiamo lavorando affinché la nostra palestra possa diventare più inclusiva possibile. Dico sempre che il dojo è il posto più inclusivo del mondo perché nella cultura della arti marziali, come un po’ negli sport, al momento di iniziare siamo tutti disabili, perché non sappiamo fare nulla, ma impariamo grazie al sempai che fa da guida nel percorso di crescita, sia della persona che della tecnica”.
Il Maestro Andreani ha poi concluso: “Non facciamo niente di particolare, cerchiamo solo di inserire nel gruppo i ragazzi con problemi o fragilità. Sarebbe importate che, anche a livello cittadino, le associazioni collaborassero di più su questo aspetto, invece di lavorare individualmente. Ad esempio, sarebbe bello creare una rete comunale o regionale per indirizzare le famiglie di ragazzi con problemi verso le associazioni in grado di accoglierli”.

Come è cambiata la visione della disabilità in ambito sportivo negli ultimi anni?
“Lo sport per le persone con delle disabilità è un “fenomeno” relativamente recente, anche grazie ad alcune icone come Bebe Vio o Alex Zanardi, che hanno aiutato a incentivare e sdoganare questo tema. Il fatto è che spesso, purtroppo, si vuole nascondere la disabilità, non solo quella come l’autismo, ma anche, ad esempio, l’ipercinetismo o l’eccessiva timidezza. I genitori tendono a non dirlo e questo, per noi istruttori, crea maggiori difficoltà nel riuscire a instaurare una buona relazione con il ragazzo. Certo, facendo questo lavoro da oltre 30 anni, ormai sono in grado di rilevare delle problematiche abbastanza facilmente, perché le arti marziali sono discipline di contatto e, lavorando con il corpo, ci sono degli stimoli e dei segnali che vengono percepiti subito da noi insegnanti.
Fare sport inclusivo aiuta i ragazzi normodotati ad accettare la diversità?
“Assolutamente sì, perché un ragazzo da solo non è mai un bullo contro un disabile. Il bullismo è un fenomeno di gruppo e andando a inserire una persona con disabilità all’interno della compagnia si elimina automaticamente il problema. I casi di bullismo, purtroppo, ci sono e ci sono sempre stati, per questo bisogna cercare di fare un discorso di educazione alla disabilità con i normodotati. Ad esempio, noi abbiamo fatto alcuni incontri nelle scuole in cui veniva chiesto ai ragazzi di combattere con la chanbara senza usare una gamba o senza muoversi. È necessario abituare il normodotati che la normalità può anche non durare per sempre, e perdere qualcosa non significa perdere la vita”.

Quali cambiamenti ai visto in Stefano Formentin da quando è al Shorei Shobukan?
“È con noi da pochi mesi ma si è instaurato un buon legame fin da subito. A fine stagione abbiamo incominciato a fargli fare degli esercizi sia in singolo che in coppia. Ha già fatto anche il suo primo esame e le prime garette davanti a tutti. Spero che, con la nuova stagione sportiva, anche gli altri ragazzi imparino a interagire con lui e ad adattarsi, che è una cosa molto importante. Il resto del gruppo l’ha accolto con la curiosità di chi arriva a metà corso, ma dopo due lezioni anche per gli altri Stefano era la normalità”.