Peppino Meazza, brillantina e doppiopetto

Il goleador di Porta Vittoria, bandiera dell’Inter, a 40 anni dalla sua scomparsa
LEGNANO – Il 21 agosto di 40 anni fa moriva Giuseppe Meazza, figura storica del calcio nerazzurro e della Nazionale. Mauro Colombo, giornalista, esperto di calcio, autore di numerosi volumi fra cui “Cent’anni da interisti” e “L’ultimo dribbling del Balilla” dedicato allo stesso Meazza lo ricorda con un articolo pubblicato dal sito ufficiale dell’Inter Club Legnano Nicola Berti, che vi proponiamo.
Il 21 agosto saranno quarant’anni da quando, a Monza, moriva .Giuseppe Meazza «Nato per giocare al calcio», «il più grande interista di sempre», «il miglior cannoniere», «il centrattacco delle meraviglie», «il più forte giocatore di tutti i tempi», «il primo fuoriclasse della storia del calcio mondiale», «un campione irripetibile», «un atleta ineguagliabile», «la bandiera del nostro calcio», «fece sognare milioni di italiani», «entusiasmò le folle di tutto il mondo»: tutti appellativi e definizioni coniate per lui, nato oltre un secolo fa (23 agosto 1910). Poche persone ormai possono raccontare di averlo visto giocare, ma il suo mito resiste all’usura del tempo.
Era un ragazzo di Porta Vittoria, Meazza, e affinò il suo tocco inseguendo un pallone di stracci sui prati e per le strade della periferia sud-est di Milano. Giocava sempre, sfidando i rimbrotti di mamma Cesira, vedova di guerra, che faticava a sbarcare il lunario per lui e il fratello maggiore Attilio. La sua prima squadra fu quella del quartiere, i Maestri Campionesi, nella quale faceva un po’ di tutto: l’attaccante, naturalmente, ma anche il regista e, all’occorrenza, pure il difensore. Qui fu adocchiato dagli osservatori del Milan, che però lo scartarono perché troppo magro. Poi arrivarono i talent-scout dell’Inter – la squadra nella quale giocava il suo idolo, Cevenini III – e non se lo lasciarono sfuggire. In realtà lo ingaggiarono come terzino, ma non appena ne intravidero lo scatto fulmineo, il dribbling funambolico e l’innato senso del gol lo spedirono in prima linea.
Militando nelle giovanili Meazza attirò l’attenzione di Fulvio Bernardini, uno dei campioni della prima squadra, che lo segnalò all’allenatore, l’ebreo ungherese Arpad Weisz. Quest’ultimo lo fece debuttare in un torneo estivo a Como. Era il 1927 e l’imberbe diciassettenne stimolò l’umorismo di uno dei veterani, Leopoldo Conti: «Adesso facciamo giocare anche i “balilla”…», soprannome dei ragazzi in epoca fascista. Segnando due reti l’esordiente centravanti zittì le ironie, ma quel nomignolo – “Balilla” – gli rimase appiccicato come una seconda pelle, così come il suo destino si legò indissolubilmente a quello dell’Inter (allora denominata Ambrosiana per volere del regime).
Che tipo di giocatore era, Meazza? Oggi forse lo si accosterebbe più a una mezzapunta che a un centravanti classico. Non era molto alto, ma grazie ad allenamenti specifici perfezionò una tecnica d’elevazione che all’epoca aveva pochi riscontri. Ben piantato sulle gambe, era in grado di segnare di potenza e di precisione, di classe e di astuzia. Suo marchio di fabbrica era il cosiddetto “gol a invito”: al culmine di serpentine che ubriacavano i difensori, si presentava al cospetto del portiere e lo “chiamava” fuori dai pali, per dribblare anche lui e insaccare a porta vuota o per beffarlo con un irridente tocco verso l’angolino più lontano.
Qualità e caratteristiche che gli fruttarono tre volte il titolo di capocannoniere (1930, 1936 e 1938) e che diedero un contributo sostanziale allo scudetto dell’Ambrosiana nel 1930. In particolare, una tripletta di Meazza fu determinante nello scontro diretto decisivo con il Genova (3-3), una partita passata alla storia per il crollo delle tribune in legno dell’impianto di via Goldoni. L’Ambrosiana divenne la squadra da battere e Meazza il nemico pubblico numero 1, da fermare con le buone o (spesso) con le cattive: più volte il “Balilla” dovette spostarsi tristemente all’ala, ai margini dei gioco, perché menomato dalle rudezze dei difensori avversari. Ecco perché dovette attendere il 1938 per festeggiare con i compagni un secondo titolo tricolore.
La foto, scattata allo stadio “Civico” di Milano, mostra una fase di gioco dell’incontro di Serie A tra Ambrosiana e Legnano. I lilla, freschi di promozione, chiuderanno la stagione all’ultimo posto e torneranno tra i cadetti. Meazza siglò due delle tre reti dei milanesi (Collezione Eugenio Raimondi – www.museolilla.statistichelilla.it)
Nel frattempo, però, si tolse parecchie soddisfazioni con la Nazionale, con la quale debuttò nello stesso 1930, a Napoli, trascinando all’entusiasmo anche i tifosi partenopei che pure avrebbero preferito al suo posto il loro idolo Sallustro. Il Commissario unico Vittorio Pozzo stravedeva per Meazza («con lui in campo partiamo dall’1-0», diceva), anche se a un certo punto preferì arretrarlo a metà campo, per approfittare della sua lucida visione di gioco e per poter schierare centravanti fisicamente più prestanti (prima Schiavio, poi Piola). Quella Nazionale vinse due Coppe Internazionali (un campionato europeo ante litteram, nel 1930 e nel 1935) e soprattutto due titoli mondiali: il primo a Roma, nel 1934, il secondo a Parigi, nel 1938. Meazza vi incise risolvendo personalmente la sfida nei quarti con la Spagna nel 1934 e trasformando un rigore decisivo nella semifinale con il Brasile nel 1938 (calciò reggendo con la mano i calzoncini, di cui si era appena rotto l’elastico). Due reti fra le più importanti delle 33 realizzate in maglia azzurra: un primato che conservò fino all’avvento di Gigi Riva, negli anni Settanta.
Le prodezze tecniche del “Balilla” contribuivano alla sua fama tanto quanto le voci sulla sua intensa attività extra-calcistica: primo fuoriclasse della storia anche nello stipendio, tra brillantina e doppiopetto poteva permettersi auto e belle donne a volontà, almeno finché non si sposò e non mise su famiglia. Siccome il rendimento in campo non ne soffriva, le avventure notturne alimentavano il suo mito tra tifosi che si accontentavano di cantare «Se potessi avere mille lire al mese…».
Il tramonto degli anni Quaranta coincise con quello agonistico di Meazza, invalidato da un grave difetto di circolazione al piede. Finì tra le riserve, poi l’Ambrosiana lo cedette al Milan, con grande indignazione dei tifosi bauscia. Negli anni di guerra, due stagioni discrete in maglia rossonera, un altro campionato dignitoso con la Juventus (tra i campionissimi il “Balilla” è l’unico, con Roberto Baggio, ad aver giocato per le tre “grandi” del calcio italiano), poi ancora Varese e Atalanta. Rientrò all’Inter nel 1947, da giocatore-allenatore: salvò la squadra dalla retrocessione e poi si ritirò definitivamente, dopo vent’anni di attività e quasi 300 reti segnate complessivamente.
Diventato tecnico a tempo pieno, Meazza fu tra i primissimi a emigrare all’estero dietro un pallone: per un anno allenò il Besiktas, in Turchia. Tornò in Italia alla Pro Patria per due stagioni, poi rientrò all’Inter a più riprese negli anni Cinquanta, con una parentesi anche sulla panchina della Nazionale. Non furono esperienze straordinarie: gli risultava troppo difficile insegnare ad altri quanto a lui riusciva naturale. D’altra parte, la bonomia che lo caratterizzava – espressa prevalentemente in dialetto – gli impediva di censurare i limiti e le manchevolezze dei giocatori che si trovava a dirigere. Decisamente meglio andò quando l’Inter gli affidò il settore giovanile: plasmò diversi giocatori che arrivarono alla prima squadra e contribuì alla crescita e alla maturazione di due autentici fuoriclasse come Sandro Mazzola e Giacinto Facchetti.
Nei suoi ultimi anni il “Balilla” divenne l’uomo-simbolo dell’Inter, la “bandiera”, deputato a curare i rapporti con i club di tifosi. Aggredito dal cancro, si ritirò nel silenzio e nell’oblio, lontano dai riflettori e dai clamori. Anche i funerali furono semi-clandestini. Sepolto quasi in segreto a Musocco, fu poi traslato al Famedio.
Il 2 marzo 1980, prima di un derby, Inter, Milan e Comune di Milano gli intitolarono lo stadio di San Siro. Lo scultore Todeschini ne ritrasse il profilo sulla lapide sulla quale ancora oggi si legge la dedica composta da Gianni Brera: «A Giuseppe Meazza, espresso dal suo cuore generoso, il popolo di Milano intitola questo glorioso stadio più volte illuminato dalle sue gesta d’atleta».
Mauro Colombo – Inter Club Legnano Nicola Berti
Alla figura di Giuseppe Meazza è ispirato il romanzo L’ultimo dribbling del Balilla, di Mauro Colombo (Morellini). Sullo sfondo della stagione calcistica 2010 (anno in cui si celebrava il centenario della nascita del campione), il libro racconta l’incontro a San Siro tra uno sceneggiatore di fiction in crisi di ispirazione e un vecchio tifoso che, domenica dopo domenica, gli narra la storia e le imprese di Meazza. Finché lo scrittore non decide di mettere proprio il “Balilla” al centro del suo nuovo soggetto televisivo. Le vicende personali del protagonista si intrecciano con quelle agonistiche delle partite e con la narrazione delle gesta, sportive e non, di Meazza, fino a una spiazzante rivelazione finale…